Pensioni a quota 100: quali rischi si corrono?

E’ forse uno degli aspetti della riforma più chiesto, più propagandato e più auspicato dalla fascia di persone che ne usufruirebbe, ed uno dei cavalli di battaglia del Vice Premier Salvini per le votazioni di marzo di quest’anno: l’abolizione della riforma Fornero e la cosiddetta quota 100.

Anche l’altro Vice Premier, nonchè ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, ne è convinto, pensando che mandare le persone in pensione voglia dire favorire l’occupazione dei giovani, e la teoria è questa, ma sarà anche la pratica?

Di Maio afferma che in alcune occasioni le imprese assumeranno 3 giovani per ogni lavoratore che andrà in pensione, una prospettiva forse un po’ troppo rosea, tanto che non esistono precedenti che affermano questa tesi, ma veniamo ai fatti.

Il nuovo governo lega-m5s vuole affiancare all’attuale pensione di vecchiaia e pensione anticipata la cosiddetta quota 100, cioè i lavoratori che raggiungeranno 62 anni d’età e 38 anni di contributi potranno (quindi una scelta volontaria) accedere alla pensione. Naturalmente 38 anni di contributi resta un numero fisso anche per chi ha 63, 64, 65 anni.

In base alle stime quindi nel 2019 circa 380mila lavoratori potranno raggiungere questi requisiti ed accedere alla pensione; di questi quasi 150mila sono dipendenti pubblici, ma si pensa che non tutti decidano di sfruttare questi requisiti, anzi non oltre il 60/70%.

La domanda quindi sorge spontanea: “Quanti di quelli che andranno in pensione verranno sostituiti da giovani neoassunti?”
La risposta è la parte più difficile, perchè nel pubblico impiego, probabilmente il rapporto sarà 1 a 1 ma nelle aziende pubbliche e partecipate, superando l’affermazione di Di Maio, c’è molta più cautela con un turnover che potrebbe essere meno positivo.

Per non parlare delle imprese private, dove gli imprenditori potrebbero sfruttare quota 100 per mandare in pensione dipendenti con mansioni che non servono più: una specie di ammortizzatore sociale.
In altre occasioni sarà invece un motivo di rilancio aziendale.
Il Presidente di Federalimentare, Luigi Scordamaglia, in un’intervista alla Verità: «Al Nord ci sarà bisogno di inserire figure under 30. Fare uscire in anticipo figure produttive che necessitano di una formazione basica consentirà certamente un ricambio generazionale. Il dirigente o il capo reparto con 35 anni di esperienza non potrà certo essere sostituito con il giovane appena uscito dalle scuole superiori, ma l’operaio di linea sì».
In conclusione nelle aziende che vanno bene si può pensare a un turnover 1 a 1 se si tratta di mansioni di base ma ciò sicuramente non avverrà in quei settori dove il lavoro umano può essere svolto da macchine produttive e dove è richiesta una specializzazione tale che il turnover sarebbe più un costo che un investimento.

Il problema di fondo però rimane solo uno: si tratta di una riforma sostenibile nel tempo?

Pensioni a quota 100, quali sono i rischi?

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